vizi dell’opera e responsabilità solidale

Vizi dell’opera e responsabilità di appaltatore e progettista

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Non può essere condannato il committente che rifiuta di saldare una ditta appaltatrice se questa è responsabile per i vizi dell’opera, anche se in solido con il progettista

La Suprema Corte di cassazione (Ordinanza n. 47 del 3/1/2018) è chiamata a pronunciarsi, in tema di contratto di appalto, sulla responsabilità solidale dell’appaltatore con altri soggetti e sulla consequenziale eccezione di inadempimento avanzata dal committente che aveva ricevuto un’opera affetta da gravi vizi.

Il caso

Una ditta di costruzioni si rivolgeva al Tribunale di un capoluogo umbro per richiedere la condanna del committente al pagamento del corrispettivo pattuito per l’esecuzione di un’opera; l’opera, secondo la ditta, era gravata da vizi ma questi erano stati causati esclusivamente da errori commessi dal progettista che lo stesso committente aveva nominato.

Il percorso giudiziario

I giudici di primo grado rigettavano la domanda, riconoscendo la responsabilità dell’appaltatore (art. 1669 Codice Civile).

A seguito di ricorso proposto dalla ditta appaltatrice, la Corte d’Appello di Perugia accertava che le opere non erano state eseguite a regola d’arte e che l’impresa stessa, pur essendosi avveduta di ciò, aveva preferito non dare alcuna comunicazione al committente per non sostenere costi aggiuntivi. In particolare, risultava che:

  1. le opere non erano state eseguite a regola d’arte, poiché, da un lato, mancava la richiesta di autorizzazione per lavori in zona sismica e, dall’altro lato, era mancata la verifica statica dell’immobile in relazione alla copertura del tetto, sia con riferimento all’orditura lignea di sostegno sia in ordine al muro di sostegno
  2. l’impresa appaltatrice, in virtù dell’esperienza acquisita nel settore, aveva riscontrato le deficienze progettuali. Ciò sia in considerazione del fatto che l’errore era agevolmente riscontrabile con ordinaria diligenza sia poiché, negli atti difensivi presentati, l’impresa stessa indicava che si era avveduta dei difetti progettuali e si era limitata ad eseguire i lavori così come progettati, per non sostenere costi troppo elevati

La Corte d’Appello di Perugia respingeva quindi la domanda.

La ditta ricorreva in Cassazione.

La sentenza di Cassazione

La Suprema Corte ha confermato la sentenza di appello, che aveva acclarato l’inadempimento dell’impresa appaltatrice per inottemperanza all’obbligo di diligenza qualificata ex art. 1176, comma 2 c.c., con relativo venir meno del diritto all’ottenimento del corrispettivo.

La Cassazione ha quindi ritenuto inammissibili i motivi addotti dalla ditta ricorrente: la corresponsabilità, che senz’altro intercorre tra appaltatore e professionista/progettista, doveva essere proposta all’inizio del giudizio di merito e, in ogni caso, “non influisce sulla possibilità del committente di resistere alla domanda di pagamento delle prestazioni opponendo l’eccezione di inadempimento, che può anche condurre al rigetto di ogni pretesa creditoria”.

Inoltre, la Cassazione ha affermato che l’eventuale responsabilità solidale dell’appaltatore con altro soggetto non influisce sulla possibilità del committente di resistere alla domanda di pagamento delle prestazioni opponendo l’eccezione di inadempimento.

La giurisprudenza

La sentenza della Cassazione riafferma un importante principio relativo alla responsabilità dell’appaltatore che, avendo l’obbligo di controllare il progetto e le istruzioni del committente, è responsabile anche in caso di istruzioni errate se non prova di aver manifestato il proprio dissenso rispetto a queste ultime (Ord. Cassazione n. 21959/2017).

La responsabilità dell’appaltatore è regolata dall’art. 1667 del Codice civile, secondo il quale egli è tenuto alla garanzia per le difformità e i vizi dell’opera. L’appaltatore è tenuto infatti a realizzare l’opera a regola d’arte, in modo che essa sia tecnicamente idonea a soddisfare le esigenze del committente risultanti dal contratto (c.d. obbligazione di risultato), e nell’esecuzione della prestazione deve osservare la diligenza qualificata di cui all’art. 1176 comma 2 del Codice civile, ai sensi del quale: “nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata”.

La Corte di Cassazione confermando la sentenza della Corte di appello ribadisce questo principio: l’appaltatore, dovendo assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica relativi al lavoro affidatogli, è obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente.
L’appaltatore ha il conseguente dovere di rendere edotto il committente di eventuali obiettive situazioni o carenze del progetto, rilevate o rilevabili con la normale diligenza, ostative all’utilizzazione dell’opera ai fini pattuiti ed è esentato da responsabilità solo se il committente, pur reso edotto delle carenze e degli errori, gli richieda di dare egualmente esecuzione al progetto o gli ribadisca le indicazioni, in tale ipotesi risultando l’appaltatore stesso ridotto a mero “nudus minister”.
In mancanza di tale prova però, l’appaltatore è tenuto, a titolo di responsabilità contrattuale derivante dalla sua obbligazione di risultato, all’intera garanzia per le imperfezioni o i vizi dell’opera, senza poter invocare il concorso di colpa del progettista o del committente, né l’efficacia esimente di eventuali errori nelle istruzioni impartite dal direttore dei lavori.
Ne consegue che la responsabilità dell’appaltatore, con il conseguente obbligo risarcitorio, non viene meno in caso di vizi imputabili ad errori di progettazione o direzione dei lavori se l’appaltatore, accortosi del vizio, non lo abbia denunziato tempestivamente al committente manifestando formalmente il proprio dissenso, ovvero non abbia rilevato i vizi pur potendo e dovendo riconoscerli in relazione alla perizia ed alle capacità tecniche da lui esigibili nel caso concreto.

L’Ordinanza inoltre ha riaffermato il principio della responsabilità solidale tra appaltatore e professionista/progettista.

L’art. 1669 del Codice civile (citato dal tribunale di primo grado nel caso in esame), dispone,in materia di rovina e difetti di cose immobili, che “l’appaltatore è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa”.

La giurisprudenza prevalente ha tuttavia ritenuto che la norma di cui all’art. 1669 Codice civile configuri una responsabilità extracontrattuale, di ordine pubblico, sancita per ragioni e finalità di pubblico interesse, e di conseguenza l’art. 1669 del Codice civile risulta applicabile anche quando manchi tra danneggiante e danneggiato l’intermediazione di un contratto di appalto, e può essere invocato dal terzo, estraneo al contratto di appalto, che tuttavia abbia subito danni dalla rovina dell’immobile.

Ne consegue che la norma dell’art. 1669 del Codice civile si estende a quanti abbiano collaborato alla costruzione, sia nella sua fase ideativa con la redazione del progetto, sia in quella attuativa ad esempio mediante, ad esempio, la elaborazione dei calcoli di resistenza per il dosaggio del cemento armato, tutte le volte che si dimostri che i vizi si siano verificati in dipendenza e a causa di errori commessi nella progettazione, ovvero nei calcoli, oppure, nel contempo, nell’una e negli altri, non potendosi negare, quanto alla legittimazione passiva, la sussistenza di essa in soggetti che, a ragione dell’opera prestata, debbono essere considerati quali costruttori al pari dell’appaltatore, verso il quale la specifica responsabilità appare canalizzata.

 

Clicca qui per scaricare l’ Ordinanza della Cassazione 3 gennaio 2018, n. 47

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