Superbonus e asseverazioni false: è legittimo il sequestro delle parcelle del professionista?
La Cassazione conferma l’ordinanza di sequestro delle parcelle di un professionista derivate da asseverazioni provatamente false. Ecco gli indizi di una truffa targata Superbonus
Una recentissima sentenza della Corte di Cassazione si aggiunge ad alcune ultime sentenze della stessa Corte che hanno portato alla ribalta casi incentrati sull’utilizzo illegale della cessione dei crediti, ma quest’ultima pronuncia della Corte suprema pone al centro dell’attenzione le parcelle professionali derivate da un intervento truffaldino di Superbonus.
La sentenza penale n. 42010/2022 descrive, quindi, le anomalie che hanno permesso di smascherare le relative false asseverazioni di un professionista, per così dire, alquanto spregiudicato.
Professionista e general contractor: la “banda degli onesti” presa in castagna
Il caso vede protagoniste alcune asseverazioni rilasciate da un professionista abilitato relative al Superbonus.
Al professionista veniva sequestrata una somma di denaro giacente sul suo conto corrente (a detta del professionista utilizzato per il pagamento delle bollette domestiche e quindi un conto corrente personale) poiché ritenuta parte dell’ammontare delle parcelle professionali incassate per alcune asseverazioni risultate false.
Il tribunale del riesame confermava il sequestro preventivo, ma il professionista non ci stava e ricorreva in Cassazione.
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Le anomalie delle asseverazioni Superbonus ribadite dalla Corte di Cassazione e il recupero del maltolto anche su conti non professionali
Gli ermellini rilevano in particolare, come si evince dal prospetto riepilogativo delle asseverazioni trasmesse sul portale dell’ENEA in relazione ai lavori del Consorzio committente inerenti alle agevolazioni del Superbonus 110%, che il professionista risulta aver svolto il compito di tecnico asseveratore in ben 139 casi, dall’aprile all’ottobre del 2021.
Inoltre, risulta che il premio di almeno uno dei tre contratti assicurativi effettuati dal Consorzio al professionista è pagato dal Consorzio stesso, circostanza che appare anomala, atteso che è il tecnico asseveratore a dover sottoscrivere la polizza assicurativa a garanzia di eventuali danni provocati dalla sua attività (tanto che, puntualizza l’ordinanza del riesame, il relativo premio può essere dedotto ai fini del pagamento delle imposte sui redditi) e non l’impresa che effettua i lavori sui quali si svolge la verifica del tecnico.
Altra anomalia sta nel fatto che nessuna fattura è stata emessa dal professionista a fronte dei pagamenti ricevuti dal Consorzio né tali fatture sono state prodotte in sede di riesame. L’ordinanza, peraltro, valorizza in particolare quanto evidenziato in una nota della G.d.F. in atti, ossia la circostanza che anche la firma del professionista apposta alle asseverazioni appare non autografa, ma apposta attraverso un file immagine, tanto che su diversi documenti tale firma appare innaturalmente del tutto identica.
E considerato che il professionista non ha disconosciuto dette firme, ammettendo di aver anche ricevuto il pagamento per l’attività professionale espletata, farebbe pensare ad una modalità automatica di asseverazione, operata in assenza di quegli accertamenti e quelle verifiche che sono alla base dell’attività in questione.
Anomalie delle asseverazioni
Ancora i giudici evidenziano come nelle asseverazioni esaminate dall’ENEA e relative al Consorzio committente sono state riscontrate varie anomalie:
- queste si riferiscono tutte al primo SAL del 30%;
- in esse non viene dichiarato il numero di protocollo del deposito in Comune, prima dell’inizio lavori, della relazione tecnica (art. 28 della legge 10/91 e art. 8 del dlgs 192/05) ma solo la dizione “PEC”;
- non viene allegato l’APE post intervento;
- il computo metrico allegato è quasi sempre non pertinente e il relativo importo complessivo dei lavori non coincide con quanto dichiarato nell’asseverazione;
- in alcuni casi, viene dichiarato erroneamente che il comune di ubicazione dell’edificio oggetto dell’intervento è compreso nell’elenco dei comuni di cui al comma 4 ter dell’art. 119 del dl 34/2020. Con la conseguenza che gli importi massimi ammissibili sono incrementati del 50%.
La Corte suprema, in accordo con i giudici del riesame, ha richiamato il principio delle Sezioni Unite della stessa Corte di Cassazione (sentenza 27 maggio 2021 n. 42415), secondo cui:
la confisca del denaro costituente profitto o prezzo del reato, comunque rinvenuto nel patrimonio dell’autore della condotta e che rappresenti l’effettivo accrescimento patrimoniale monetario conseguito va sempre qualificata come diretta, e non per equivalente, in considerazione della natura fungibile del bene, con la conseguenza che non è ostativa alla sua adozione l’allegazione o la prova dell’origine lecita della specifica somma di denaro oggetto di apprensione.
In altre parole, anche la motivazione a difesa del professionista che il sequestro della somma di denaro rinvenuta fosse avvenuta su un conto corrente utilizzato per le normali spese di amministrazione domestica, non era rilevante per il recupero dell’illecito guadagno professionale ai danni dello Stato.
Per tali motivi, il ricorso è stato ritenuto inammissibile.

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