Ristrutturazione edilizia e demoricostruzione: occorre lasciare traccia dell'edificio precedente

Demoricostruzione e ristrutturazione: occorre conservare traccia dell’esistente?

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La Cassazione interpreta il testo unico per l’edilizia: non si tratta di ristrutturazione se scompare ogni traccia del preesistente

Art. 3 (Definizione degli interventi edilizi), comma 1, lett. d) dpr 380/2001:

interventi di ristrutturazione edilizia“, gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico. L’intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana.

Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza.

Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, ad eccezione degli edifici situati in aree tutelate ai sensi degli articoli 136, comma 1, lettera c) e d), e 142 del medesimo decreto legislativo, nonché, fatte salve le previsioni legislative e degli strumenti urbanistici, a quelli ubicati nelle zone omogenee A di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, o in zone a queste assimilabili in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria.

Questa è l’ultima versione della definizione di ristrutturazione edilizia integrata dalla legge n. 91/2022 di conversione del decreto Aiuti (dl n. 50/2022), che ha modificato anche la lettera c), comma 1, art. 10 (Interventi subordinati al permesso di costruire) sempre in merito agli interventi di ristrutturazione edilizia.

La Corte di Cassazione interviene in merito con la sentenza penale n. 1669/2023, che affronta il caso di una lottizzazione abusiva spacciata per una ristrutturazione edilizia con demolizione e ricostruzione di un precedente manufatto. Ma se il caso discusso dalla sentenza è abbastanza palese, alla luce di quanto esposto nel TUE appaiono interessanti le osservazioni che i giudici fanno circa la definizione di ristrutturazione edilizia entro la quale, a loro parere, il manufatto ricostruito deve mantenere un legame, una continuità con quello originario. La sentenza sicuramente costituirà motivo di dibattito perché sembra in qualche modo contraddire l’attuale versione di definizione di ristrutturazione edilizia data dal Testo unico dell’edilizia.

Ristrutturare: sparisce la vecchia casa bifamiliare e compare un quartiere

Il caso e l’ipotesi accusatoria collegata scaturivano dal rilascio di un permesso di costruire autorizzante la demolizione di una casa colonica costituita da due unità immobiliari e cinque annessi agricoli di varia tipologia con costruzione, in luogo di tali strutture, di un complesso residenziale costituito da 10 villini in linea, di cui 2 su due livelli, e un parcheggio a raso costituito da 24 stalli con copertura fotovoltaica.

Si poneva, quindi, la questione della configurabilità o meno di un intervento di ristrutturazione edilizia; quest’ultima veniva riconosciuta e confermata dal tribunale del riesame con conseguente esclusione di ogni abusività dell’intervento e relativa emissione dell’ordinanza di dissequestro dell’area interessata.

Di opinione contraria era il Procuratore della Repubblica del tribunale, il quale sosteneva invece il commesso reato di lottizzazione abusiva, per cui faceva ricorso in Cassazione.

A parere del ricorrente:

  • la ristrutturazione imponeva comunque la conservazione ovvero il recupero dell’immobile preesistente nonostante le modifiche per legge consentite;
  • la non conformità avrebbe riguardato anche i profili inerenti al mancato rispetto del tipo edilizio e delle caratteristiche edilizie storiche. In particolare, alla luce delle NTA del PRG non sarebbero state ammesse nuove costruzioni quali quelle in esame, ma solo essenzialmente costruzioni in termini, al più, di ristrutturazione e ampliamento per la residenza della famiglia coltivatrice dell’imprenditore agricolo e di costruzioni accessorie e impianti strumentali per l’attività agricola.

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La definizione di ristrutturazione edilizia secondo la Corte di Cassazione

Gli ermellini ricordano che la nozione di ristrutturazione edilizia è stata interessata da progressivi interventi legislativi, soprattutto quello riguardante l’art. 10 della “legge Semplificazioni” (n. 120/2020), che hanno ampliato la stessa e di cui propongono in premessa un rapido excursus delle sue modifiche.

Successivamente, essi osservano che:

Purtuttavia, nonostante il riportato ampliamento dell’ambito di operatività della nozione attuale di ristrutturazione, con particolare riferimento agli immobili non sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio, nonché a quelli ubicati nelle zone omogenee A, permane comunque la ratio qualificante l’intervento edilizio, che postulando la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare, è comunque finalizzata al recupero del medesimo, pur con le ammesse modifiche di esso.

Si tratta di un indirizzo più volte sottolineato negli anni dalla giurisprudenza. In tal senso si è espressa anche di recente la giurisprudenza amministrativa, laddove ha evidenziato che:

la ristrutturazione edilizia, quale intervento sul preesistente, non può fare a meno di una certa continuità con l’edificato pregresso (TAR Veneto Sez. H n. 660 del 2 maggio 2022, T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna Sez. II, 16 febbraio 2022, n. 183; Consiglio di Stato, Sez. II, 6 marzo 2020 n. 1641)

La ristrutturazione, per definizione, non può mai prescindere dalla finalità di recupero del singolo immobile che ne costituisce l’oggetto. In tale quadro è stata sottolineata:

la necessità di un’interpretazione della definizione dell’intervento di ristrutturazione edilizia di cui alla lettera d) dell’art. 3, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001, che sia aderente alla (e non tradisca la) finalità di conservazione del patrimonio edilizio esistente, finalità che contraddistingue tale intervento rispetto a quelli di “nuova costruzione” di cui alla successiva lettera e), e non si presti all’elusione degli standard urbanistici vigenti al momento della riedificazione ed applicabili in caso di nuova costruzione.

Del resto, la conferma della ontologica necessità che l’intervento di ristrutturazione edilizia, pur con le ampie concessioni legislative in termini di diversità tra la struttura originaria e quella frutto di “ristrutturazione”, non possa prescindere dal conservare traccia dell’immobile preesistente, è fornita dallo stesso art. 10 della legge Semplificazioni, integrativo dell’art. 3 comma 1 lett. d) del dpr 380/01, laddove si premette che:

le novelle introdotte rispondono al fine di semplificare e accelerare le procedure edilizie e ridurre gli oneri a carico dei cittadini e delle imprese, nonché di assicurare il recupero e la qualificazione del patrimonio edilizio esistente e lo sviluppo di processi di rigenerazione urbana, decarbonizzazione, efficientamento energetico, messa in sicurezza sismica e contenimento del consumo di suolo.

La Cassazione conclude in merito che anche la lettura stessa dell’articolo 3 del dpr 380/01 depone in tal senso, laddove, da una parte definisce come ristrutturazione “gli interventi edilizi volti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso” e dall’altra distingue rispetto ad essa gli “interventi di nuova costruzione” (art. 3 comma 1 lett. e), che sono strutturalmente connotati dalla assenza di una preesistenza edilizia.

In altri termini, per la Cassazione:

con riguardo alla ristrutturazione non vi è spazio per nessun intervento che lasci scomparire ogni traccia del preesistente.

Conclusioni: NO ristrutturazione edilizia uguale a moltiplicazione indiscriminata degli edifici

Per quel riguarda il caso in esame e per quanto detto sopra:

circa i rapporti tra dpr 380/01 e leggi regionali, appare pertinente la precisazione, in ordinanza (impugnata dal ricorrente), per cui con legge regionale sarebbe caduto il divieto di realizzare, previa demolizione e ricostruzione, diverse unità immobiliari, atteso che qui viene in rilievo non la possibilità, consentita, che il nuovo organismo contempli, in sé, altre unità immobiliari, ma la necessità che l’operazione di ripristino non si traduca nella moltiplicazione, da un unico edificio, di più distinte e autonome strutture edilizie.

In altri termini, spiegano i giudici, seppure la recente legge del 2020 abbia contribuito a delineare la possibilità di interventi di ristrutturazione fortemente innovativi rispetto all’organismo preesistente, tanto che alcuni criteri prima utilizzati dalla legge e dalla giurisprudenza, per sancire la corrispondenza tra i due organismi interessati appaiono via via sfumati o scomparsi (quali, in sintesi, con riferimento in particolare a zone non vincolate, la fedele ricostruzione comprensiva di limitate innovazioni, oppure, poi, la medesima sagoma/volumetria o, ancora, l’identità del sedime), permane il requisito, insuperabile, per cui deve pur sempre trattarsi di interventi di recupero del medesimo immobile ancorché trasformato in organismo edilizio in tutto o in parte diverso.

Per cui, in tale quadro va esclusa la moltiplicazione, da un unico edificio, di plurime distinte strutture o, al contrario, l’assorbimento di plurimi immobili in un unico complesso edilizio.

Per tali motivi l’ordinanza del tribunale del riesame è stata annullata con rinvio a nuovo giudizio del tribunale competente.

 

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