Restauratore di beni culturali: può bastare il titolo di studio?
Senza esperienza professionale accertata i soli titoli di studio non bastano per la qualifica di restauratore di beni culturali. Lo chiarisce il CdS
Operare manualmente sul nostro inestimabile quanto delicato patrimonio artistico, al fine della sua migliore conservazione, richiede non solo una preparazione accademica ma anche di essere dotati di una robusta esperienza fatta di ore ed ore di interventi pratici.
Il Consiglio di Stato con il parere n. 1321/2022 vuole ribadire proprio questo importante concetto e ricorda quali sono le condizioni necessarie per operare come restauratore di beni culturali.
Qualifica di restauratore di beni culturali: cosa occorre?
Una operatrice nel settore della conservazione di opere d’arte partecipava alla selezione pubblica (art. 182, comma 1-ter, dlgs 42/2004) per l’attribuzione della qualifica di restauratore di beni culturali relativamente ai settori di cui all’Allegato B dello stesso Codice dei beni culturali.
Successivamente, la qualifica risultava concessa solo in merito ad alcuni settori di restauro sulla base dei titoli posseduti e dell’attività lavorativa svolta dalla nostra protagonista, regolarmente dichiarati in sede di domanda.
In poche parole, per i settori per cui era risultata esclusa la domanda, l’operatrice non avrebbe accumulato un minimo di 500 ore di lavoro.
Di contro, l’operatrice sosteneva che il titolo di studio prodotto sarebbe stato già sufficiente per ottenere l’iscrizione in tutti i settori richiesti.
La questione approdava presso il CdS.
L’Italia rappresenta un contenitore prezioso di un secolare patrimonio edilizio storico monumentale di incommensurabile valore, la cui conservazione e restauro può interessarne non solo le superfici decorate ma anche la vera e propria staticità della struttura portante in muratura. Per questo desidero consigliarti un pratico software strutturale per le murature esistenti che renda semplici anche le verifiche più difficili.
Il parere del CdS e la normativa vigente
I giudici dopo aver ricordato il quadro normativo in merito all’argomento in discussione, sottolineano che l’art. 182, comma 1 del Codice dispone che:
acquisisce la qualifica di restauratore di beni culturali, per il settore o i settori specifici richiesti tra quelli indicati nell’allegato B, colui il quale abbia maturato una adeguata competenza professionale nell’ambito del restauro dei beni culturali mobili e delle superfici decorate dei beni architettonici
Secondo lo stesso art. 182 (comma 1-ter) la procedura di selezione pubblica consiste nella valutazione dei titoli e delle attività e nell’attribuzione dei punteggi indicati nell’allegato B del Codice . La stessa disposizione prevede poi che la qualifica di restauratore di beni culturali è acquisita con un punteggio pari ai crediti formativi indicati nell’articolo 1 del regolamento di cui al decreto del Ministro 26 maggio 2009, n. 87, ossia 300 punti.
La normativa, rimandando, come detto, all’Allegato B del Codice che definisce i punteggi attribuibili, individua quindi tre tipologie di titoli, con i relativi limiti temporali, che consentono di partecipare alla selezione:
- la prima è data dai diversi titoli di studio attinenti alla materia, variamente valutati alla tabella 1 del citato Allegato B;
- la seconda è costituita dall’inquadramento alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche preposte alla tutela dei beni culturali, conseguito mediante concorso pubblico per i profili ivi specificati, anch’essi variamente valutati alla tabella 2 del predetto Allegato;
- la terza attiene all’esperienza professionale maturata attraverso lo svolgimento di attività di restauro di beni culturali mobili e superfici decorate di beni architettonici ai sensi dell’articolo 182, comma 1 quater, lettera a), nei settori di competenza elencati nell’allegato B medesimo. Quest’ultimo, alla tabella 3, attribuisce a ogni anno d’esperienza sul campo 37,5 punti, sicché la soglia minima dei 300 punti, individuata per il superamento della selezione, è raggiunta con 8 anni d’esperienza, equivalenti a 2920 giorni.
Detto ciò, il CdS osserva che il decreto ministeriale 13 maggio 2014 (contenente le Linee guida applicative dell’articolo 182 del Codice) richiede chiaramente il raggiungimento del punteggio minimo di 300 punti (previsti in via generale dal comma 1 ter dell’articolo 182 del Codice), laddove (nel caso specifico) la ricorrente, col titolo di studi più volte indicato, nei settori contestati ha raggiunto solo 150 punti.
Tale circostanza, quindi, renderebbe superflua la ulteriore trattazione del caso.
I giudici precisano, in conclusione, che la decisione della Commissione di adottare anche il criterio minimo utile di 500 ore di formazione pratica di laboratorio per conseguire l’iscrizione in base al titolo di studio (cosa diversa dall’esperienza professionale) in considerazione dell’articolo 182, comma 1-ter, non costituisce una scelta irragionevole.
Il ricorso non è, quindi, accolto.

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