Prestazioni professionali gratuite e PA: per il CdS sono lecite ma a determinate condizioni
Le Pubbliche Amministrazioni possono chiedere prestazioni gratuite a patto siano garantiti criteri, canoni e regole di assoluta imparzialità nella selezione e nella scelta dei professionisti. Lo afferma il CdS
La nuova sentenza n. 7442/2021 del Consiglio di Stato sulle prestazioni professionali a titolo gratuito sta già generando un accesso dibattito tra i tecnici e gli ordini professionali, in un momento in cui sono in discussione al Parlamento varie proposte di legge sull’equo compenso.
La maggior parte dei testi e dei disegni di legge presentati, infatti, escludono categoricamente le prestazioni a titolo gratuito (così come richiesto dagli ordini professionali) per opere ed interventi pubblici; nella direzione opposta sembrerebbe quindi andare la suddetta sentenza del CdS.
Il caso
Alcuni ordini professionali degli avvocati impugnano presso il Tar un avviso pubblico del MEF (Ministero dell’economia e delle finanze) che ha reso noto di volersi avvalere della consulenza di professionalità altamente qualificate, che uniscano alla conoscenza tecnica una positiva esperienza accademica/professionale, non rinvenibile all’interno della struttura, al fine di avere supporto ad elevato contenuto specialistico nelle materie di competenza.
Nell’avviso si legge anche che:
- è prevista una durata biennale, senza possibilità di rinnovo, ma con la facoltà per il professionista di recedere mediante preavviso di trenta giorni, fermo restando l’obbligo, gravante sullo stesso, di portare a termine l’incarico già iniziato;
- l’incarico è a titolo gratuito, con esclusione di ogni onere a carico dell’Amministrazione.
Gli ordini professionali forensi hanno ritenuto l’avviso illegittimo e lesivo, lamentando la:
- violazione della disciplina dell’equo compenso (riforma professionale forense n. 247/2012);
- violazione della legislazione sugli appalti pubblici di fornitura di servizi, tra cui rientrano i servizi legali ai sensi del Codice degli appalti (dlgs n. 50/2016), delle direttive europee e dei principi e delle norme dei Trattati;
- genericità del contenuto dell’avviso, con violazione delle norme poste a garanzia della efficienza e del buon andamento dell’azione amministrativa.
La sentenza del Tar
Il Tar non accoglie il ricorso dell’ordine escludendo che all’esito della valutazione dei curricula inviati dai professionisti si instauri un rapporto di lavoro tra i suddetti professionisti e la Pubblica Amministrazione.
Per il Tribunale Amministrativo non si tratterebbe di una fornitura di un servizio professionale ai sensi del Codice degli appalti, dal momento che:
- è prevista la facoltà del professionista di porre fine unilateralmente all’incarico in qualunque momento (ad avviso del Tar, il termine di preavviso di durata pari a trenta giorni risponde ad una mera esigenza organizzativa, e non condiziona né altrimenti limita, la libera facoltà di recesso del professionista);
- non è previamente indicato il numero di incarichi da conferire;
- non è puntualmente definito l’oggetto della consulenza o dell’affare;
- l’incarico è conferito al professionista senza svolgimento di procedura selettiva, nemmeno in senso ampio, e senza che sia stata formata alcuna graduatoria.
A parere del Tar, in sostanza, l’estrema genericità dell’avviso, non rappresenta un conferimento di un incarico da (eventualmente) conferire per una prestazione professionale e, quindi, non deve sottostare alle regole del Codice appalti.
Gli ordini ricorrenti si appellano, quindi, al CdS.
La sentenza del Consiglio di Stato
I giudici di Palazzo Spada chiariscono che non è rinvenibile alcuna disposizione che vieta, impedisce o altrimenti ostacola l’individuo nella facoltà di compiere scelte libere in ordine ad impiegare le proprie energie lavorative (materiali o intellettuali) in assenza di una controprestazione, un corrispettivo o una retribuzione anche vagamente ed indirettamente intesa.
Altrimenti, specifica il CdS:
si dovrebbe ritenere illegittima o addirittura illecita la prestazione, oltre che delle attività gratuite, anche di quelle liberali, le quali anzi, a differenza delle altre, nemmeno contemplano la possibilità di ricavare dei vantaggi, neppure indiretti, dallo svolgimento delle attività medesime, essendo effettuate in maniera del tutto spontanea e con spirito di arricchire l’altro senza alcun vantaggio per se stessi.
Nel caso in esame, invece, l’adesione del professionista all’invito contenuto nell’avviso impugnato reca indubbiamente, a chi ha la volontà, il tempo, il modo e la possibilità (oltre alla capacità professionale) di svolgere la consulenza richiesta, una sicura gratificazione e soddisfazione personale per avere apportato il proprio individuale, fattivo e utile contributo alla “cosa pubblica”.
Il CdS, tra l’altro, chiarisce che la normativa prevede l’applicazione dell’equo compenso laddove sia previsto un compenso.
No alla genericità dell’avviso pubblico
Insomma per il CdS se da un lato è vero che nel quadro costituzionale e comunitario vigente la prestazione lavorativa a titolo gratuito è lecita e che il ‘ritorno’ per chi la presta può consistere anche in un vantaggio indiretto (arricchimento curriculare, fama, prestigio, pubblicità), è anche vero che la funzione amministrativa, da svolgere nel rispetto dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento, non può non incentrare la sua concreta azione sui cardini della prevedibilità, certezza, adeguatezza, conoscibilità, oggettività ed imparzialità dei criteri di formazione dell’elenco al quale attingere e di affidamento degli incarichi.
In conclusione, i giudici chiariscono che “la tenuta costituzionale del sistema basato sulle richieste di prestazioni gratuite da parte delle pubbliche amministrazioni si può ammettere solo se è previamente previsto un meccanismo procedimentale che dia idonee garanzie circa il fatto che la concreta azione amministrativa sia ispirata a criteri, canoni e regole di assoluta imparzialità nella selezione e nella scelta dei professionisti di modo che in questo ‘nuovo mercato’ delle libere professioni nessuno abbia ad avvantaggiarsi a discapito di altri”.
Il CdS ritiene che l’atto impugnato (alquanto generico), sotto questo aspetto, difetti della necessaria determinatezza utile ad assicurare la soglia inderogabile dell’imparzialità dell’azione amministrativa, poiché non sono stati testualmente indicati criteri ispirati alla trasparenza e regole oggettive e predeterminate e non discriminatorie.
Il ricorso deve essere quindi accolto in merito a quest’ultimo aspetto, ma respinto per tutto il resto.
Per maggiore approfondimento leggi anche questi articoli di BibLus-net:
- “Prestazioni professionali: sì dal Tar a consulenze a titolo gratuito per la PA“
- “Pubblicità professionale: quando viola il codice deontologico?“
Clicca qui per scaricare la sentenza del CdS

Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Fornisci il tuo contributo!