Pertinenze edilizie ritenute abusive: i chiarimenti del Consiglio di Stato
Consiglio di Stato: i manufatti, considerati pertinenze edilizie sotto il profilo civilistico, ma con un volume superiore al 20% del volume dell’edificio, necessitano di permesso di costruire
Un Comune ingiungeva la demolizione dei seguenti lavori di ampliamento, realizzati abusivamente in un’abitazione:
- locale di 22 mq al piano superiore
- locale deposito di mq 14 al piano inferiore
Il proprietario ricorreva al Tar, adducendo che gli abusi in questione – siccome modesti e di natura pertinenziale – erano soggetti a DIA e quindi non suscettibili di sanzioni di tipo ripristinatorio.
Il Tribunale di primo grado rilevava che gli interventi edilizi sanzionati erano idonei a dare vita a opere edilizie del tutto nuove, per cui si imponeva il previo rilascio, oltre che dell’autorizzazione paesistica (l’intervento ricade in zona assoggettata a vincolo paesaggistico) anche del permesso di costruire.
L’attore proponeva ricorso contro tale sentenza al Consiglio di Stato.
Sentenza del Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 5180/2017, si esprime sul ricorso del proprietario dell’immobile.
Il ricorso del proprietario dell’immobile
Il ricorrente sostiene che le opere realizzate ingloberebbero parti di un fabbricato legittimamente preesistenti e, dunque, non potrebbero essere qualificate come “nuova costruzione” ma come “riqualificazione delle preesistenze”, atteso che le opere realizzate costituirebbero interventi pertinenziali comportanti la realizzazione di un volume inferiore al 20% dell’edificio principale alle quali accedono.
Ricordiamo che secondo l’art. 3 punto e.6 del dpr 380/2001 si intendono interventi di nuova costruzione, tra gli altri, quelli pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualificano come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportano la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell’edificio principale.
Una “ristrutturazione” la cui realizzazione, quantunque abusiva, è soggetta unicamente alla sanzione prevista dall’art. 33 del citato decreto n. 380/2001, che prevede una diffida preventiva rivolta all’autore dell’abuso e diretta a eseguire il ripristino, sia perché prevede un temine, e sia infine perché contempla l’alternatività tra sanzione pecuniaria e sanzione ripristinatoria.
Il giudizio del CdS
Al contrario di quanto sostiene il ricorrente per i giudici di Palazzo Spada si tratta nel caso specifico di opere edilizie che, per consistenza e tipologia, comportano una trasformazione del territorio e del suolo tutt’altro che irrilevanti.
Correttamente sono state fatte ricadere nella categoria di interventi che richiedono il permesso di costruire ai sensi dell’art. 10 del testo unico dell’edilizia e in particolare, non possono essere definite opere di natura pertinenziale.
Inoltre il CdS ritiene che “non risulta comprovata la sussistenza del contenimento dell’ampliamento e del locale entro il limite del 20 % del volume dell’edificio principale; il carattere pertinenziale delle opere è escluso proprio in ragione del fatto che si tratta di un ampliamento e di un nuovo locale, che fanno corpo con un fabbricato preesistente, di per sé già in parte abusivo e oggetto di istanze di condono“.
Pertanto il Consiglio di Stato rigetta il ricorso del proprietario dell’immobile, sottolineando che per i lavori oggetto di causa occorre il titolo edilizio specifico per la realizzazione di nuovi manufatti (permesso di costruire), anche se sotto il profilo civilistico essi si possono essere qualificati come pertinenze.
Pertinenze edilizie
Per pertinenze dell’abitazione principale si intendono esclusivamente quelle classificate nelle categorie catastali C/2, C/6, C/7 nella misura massima di un’unità pertinenziale per ciascuna delle categorie catastali indicate, anche se iscritte in catasto unitamente all’unità ad uso abitativo.
Per questo motivo quando parliamo di pertinenze dell’abitazione principale ci riferiamo a:
- cantine, soffitte, solai (cat. C/2)
- stalle, posto auto, autorimesse senza fini di lucro (cat. C/6)
- tettoie chiuse o aperte (cat. C/7),
Clicca qui per scaricare la sentenza del CdS n. 5180/2017
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