Opere edili

La violazione delle distanze legali può implicare anche il risarcimento dei danni?

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Giuseppe De Luca
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Cassazione: la violazione delle distanze tra costruzioni può comportare anche risarcimento dei danni per temporaneo deprezzamento della proprietà

Violare le distanze tra costruzioni con opere abusive non solo comporta l’obbligo del ripristino dello stato originario dei luoghi, ma il vicino danneggiato può chiedere anche il risarcimento dei danni per il temporaneo deprezzamento della sua proprietà, salvo che il responsabile degli abusi non riesca a provare il contrario.

Questo in sintesi il contenuto della recente ordinanza n. 25935/2022 della Corte di Cassazione.

La tettoia abusiva e le distanze violate. Il caso

La proprietaria di un immobile citava in tribunale la vicina proprietaria del piano sottostante, poiché aveva realizzato senza alcun permesso una tettoia sovrastante l’intero terrazzino con pareti in muratura e copertura in lamiera.

In particolare, il suddetto manufatto aveva coperto il lato perimetrale esterno dell’appartamento al piano superiore fin quasi ad un’altezza corrispondente a quella del lato inferiore della finestra.

La proprietaria del piano di sopra lamentando, quindi, una grave limitazione del diritto di proprietà, sosteneva di aver ricevuto un danno di natura economica a causa del diminuito valore di mercato dell’unità immobiliare.

Il tribunale accoglieva la domanda attorea e condannava la vicina convenuta proprietaria della tettoia per violazione delle distanze legali e all’esecuzione delle opere necessarie al ripristino dello stato dei luoghi preesistenti alle illegittime trasformazioni edilizie.

Il giudizio della Corte d’Appello

La questione approdava, quindi,  presso la Corte d’Appello con la motivazione che nel precedente grado di giudizio l’attrice non aveva fatto alcun riferimento alla violazione delle distanze tra costruzioni, ma i giudici evidenziavano che il mancato riferimento all’articolo 907Distanza delle costruzioni dalle vedute” c.c. da parte dell’attrice non aveva alcun rilievo posto che chiaramente era stata dedotta e denunciata l’avvenuta violazione del diritto di veduta per effetto della realizzazione della tettoia da parte della convenuta.

Ed eccoci giunti in Cassazione.

La ricorrente proprietaria della tettoia, tra l’altro, continuava a sostenere a sua difesa ed in merito al risarcimento non dovuto che l’attrice aveva fondato le proprie richieste fin dal principio sulla natura abusiva della costruzione e non sulla violazione delle distanze (osservazione formulata invece dai giudici).

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La Corte di Cassazione sull’interpretazione del giudice di merito della domanda giudiziale

Gli ermellini in premessa sottolineano che l’interpretazione della domanda è attività propria del giudice di merito che ha motivato in ordine allo specifico punto posto con il motivo di appello circa l’esplicito riferimento, contenuto nell’atto di citazione, alla violazione della distanze, essendo irrilevante il mancato espresso richiamo all’art. 907 c.c.

Essi ribadiscono che, secondo quanto affermato costantemente dalla Cassazione:

il giudice di merito, nell’interpretazione della domanda giudiziale, deve tenere conto della reale volontà dell’attore risultante dall’intero contenuto dell’atto e dallo scopo pratico perseguito.

Sul punto il collegio intende dare continuità al seguente principio di diritto: il giudice di merito, nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, non è condizionato dalle espressioni adoperate dalla parte ma deve accertare e valutare il contenuto sostanziale della pretesa, quale desumibile non esclusivamente dal tenore letterale degli atti ma anche dalla natura delle vicende rappresentate dalla medesima parte e dalle precisazioni da essa fornite nel corso del giudizio, nonché dal provvedimento concreto richiesto, con i soli limiti della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del divieto di sostituire d’ufficio un’azione diversa da quella proposta.

Per concludere, tornando alla questione della richiesta di risarcimento, la Cassazione chiarisce che per consolidato orientamento giurisprudenziale:

la violazione della prescrizione sulle distanze tra le costruzioni, attesa la natura del bene giuridico leso, determina un danno in re ipsa, con la conseguenza che non incombe sul danneggiato l’onere di provare la sussistenza e l’entità concreta del pregiudizio patrimoniale subito al diritto di proprietà, dovendosi, di norma, presumere, sia pure iuris tantum, tale pregiudizio, fatta salva la possibilità per il preteso danneggiante di dimostrare che, per la peculiarità dei luoghi o dei modi della lesione, il danno debba, invece, essere escluso 

In altre parole, la violazione delle distanze ha provocato indirettamente una limitazione dell’uso del bene con un conseguente deprezzamento temporaneo, senza obbligo da parte del danneggiato alla dimostrazione di tale circostanza. Tuttavia, è nella facoltà di chi ha commesso l’abuso di dimostrare la non debenza del risarcimento data la peculiarità dei luoghi e le modalità dell’abuso.

Il ricorso non è, quindi, accolto.

 

 

 

 

Giuseppe De Luca

Giuseppe lavora in ACCA dal 2019. E’ autore di BibLus BIM e si occupa di progettazione architettonica e BIM. E’ specializzato in restauro e conservazione beni culturali.

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