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Costruzione abusiva in zona vincolata: l’ordine di demolizione è inappellabile!

Cassazione: non è possibile appellarsi alla violazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo in caso di abusivismo edilizio in aree vincolate

La legge può arretrare al cospetto di una presunta violazione dei diritti umani in materia di abusi edilizi compiuti in aree con vincolo paesaggistico e ambientale?

La Corte di Cassazione fornisce un’esauriente risposta a questa domanda con la sentenza penale n. 2282/2021.

La Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e l’articolo 8

La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) dal 1950 (anno della sua sottoscrizione) costituisce il testo centrale in materia di protezione dei diritti fondamentali dell’uomo.

La Convenzione è l’unica dotata di un meccanismo giurisdizionale permanente che consenta a ogni individuo senza distinzione alcuna di sesso, di razza, di colore, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di appartenenza a una minoranza nazionale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione, di richiedere la tutela dei diritti ivi garantiti, attraverso il ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, con sede a Strasburgo.

In particolare, sarà utile riportare qui di seguito l’articolo 8 (Diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione, che recita:

1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.

2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.

Il caso

Un privato faceva ricorso al Tribunale per la revoca e/o sospensione dell’ingiunzione di demolizione emessa dalla Procura della Repubblica; l’istanza aveva come oggetto un’abitazione realizzata senza alcun titolo edilizio nell’area di un Parco (sottoposta quindi a vincolo paesaggistico ed ambientale).

Il Tribunale rigettava il ricorso; ne conseguiva il ricorso in Cassazione con le seguenti motivazioni:

  • per l’abuso edilizio era stata presentata una richiesta di condono edilizio (rimasta senza risposta) non soltanto in relazione alle disposizioni nazionali, ma anche con riferimento alla legge regionale che regolamenta i criteri di messa in esecuzione per il recupero degli insediamenti edilizi abusivi sorti spontaneamente e presi in considerazione dalla legge 47/85 e dalla legge 326/2003;
  • violazione dell’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo: il privato avrebbe realizzato la costruzione abusiva per destinarla a sua unica residenza fin dalla sua costruzione, attivandosi poi per ottenere il condono anche sulla base della normativa regionale.

Il giudizio della Corte di Cassazione

I giudici della Cassazione sul primo punto della difesa ribadiscono che in aree protette da vincolo ambientale e paesaggistico l’abuso edilizio non è condonabile (né sanabile con accertamento di conformità):

essi precisano che spetta al giudice dell’esecuzione, in presenza di una domanda di sanatoria, un ampio potere-dovere di controllo sulla legittimità dell’atto concessorio sotto il duplice profilo della sussistenza dei presupposti per la sua emanazione e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio.

Impossibilità del condono (legge 326/2003, legge 47/1985)

In particolare, gli ermellini sottolineano che si è più volte affermato (con riferimento al condono edilizio introdotto con la legge 326/2003) che la realizzazione, in area assoggettata a vincolo paesaggistico, di nuove costruzioni in assenza di permesso di costruire non è sanabile.

Relativamente al recupero degli insediamenti edilizi abusivi, i giudici spiegano che l’art. 29 (Varianti agli strumenti urbanistici e poteri normativi delle Regioni) della legge 47/1985:

nella parte in cui comprende l’adozione e l’approvazione di varianti agli strumenti urbanistici finalizzate al recupero urbanistico degli abusi, si riferisce agli insediamenti abusivi con riferimento ai nuclei di espansione di edilizia abitativa di una certa consistenza, cui si correla la difficoltà sociale di un ripristino generalizzato, e non alle situazioni di diffusione sul territorio rurale di piccoli abusi, ciò in quanto, la ratio della norma non è quella di imporre alle Regioni e alle Amministrazioni comunali, in sede di adozione e approvazione delle varianti generali agli strumenti urbanistici, l’obbligo di considerare gli insediamenti abusivi a fini del recupero, bensì quella di affiancare una speciale tipologia di variante a quelle già contemplate dall’ordinamento urbanistico, demandando alle Regioni la disciplina di dettaglio.

Nel caso specifico (come affermato dallo stesso ricorrente) il procedimento di variante speciale destinato al recupero territoriale non si è ultimato, impedendo l’esame dell’istanza di condono.

Non esiste alcun diritto “assoluto” alla inviolabilità del domicilio

Per quel che riguarda l’appello all’art. 8 della Convenzione EDU, i giudici spiegano che quest’ultimo:

non evidenzia alcun diritto “assoluto” ad occupare un immobile, anche se abusivo, solo perché casa familiare, con la conseguenza che l’esecuzione dell’ordine di demolizione di un manufatto abusivo, che afferma in concreto il diritto della collettività a rimuovere la lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato ed a ripristinare l’equilibrio urbanistico-edilizio violato, non contrasta con il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio tutelato dalla Convenzione EDU.

E comunque, precisa la Cassazione,  spetta sempre al giudice valutare tra la misura della demolizione e l’interesse del singolo al rispetto del proprio domicilio in quanto, valutandone la compatibilità con il diritto alla abitazione, l’unico scopo sia quello di garantire l’effettiva attuazione delle disposizioni normative che prevedono che gli edifici non possono essere costruiti senza autorizzazione.

I giudici concludono che l’ordine di demolizione non deve essere interpretato come un’azione punitiva verso chi ha commesso l’abuso, ma assolve a una funzione ripristinatoria del bene interesse tutelato e costituisce atto dovuto.

Il ricorso, quindi, non è accolto.

 

Clicca qui per scaricare la sentenza della Corte di Cassazione

 

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