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Contributo integrativo professioni tecniche: 4% per tutti

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Professioni tecniche, il CdS stabilisce che non si può fare distinzione in merito alle aliquote del contributo integrativo tra lavori pubblici e privati

Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4062 del 3 luglio 2018, ha respinto il ricorso presentato dal Ministero del Lavoro e dal Ministero dell’Economia contro la sentenza del TAR Lazio n. 966/2016,  in cui si legittima l’applicazione del contributo integrativo al 4% anche per la pubblica amministrazione.

La sentenza elimina una disparità di trattamento tra settore pubblico e privato che pesava sulle future pensioni dei professionisti che lavorano in prevalenza per la pubblica amministrazione.

I fatti in breve

L’E.P.A.P (Ente di Previdenza e Assistenza Pluricategoriale) proponeva nel 2012 al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali la modifica del proprio regolamento contenente un’ aumento dall’originario 2% al 4% del contributo integrativo.

Con una nota del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali veniva approvata la modifica al regolamento, a condizione che

“il contributo stesso rimanesse invariato al 2% per le prestazioni rese a favore delle pubbliche amministrazioni che si avvalgono delle prestazioni professionali degli iscritti E.P.A.P., al fine di evitare l’insorgere di maggiori oneri per la finanza pubblica.”

Contro tale nota viene presentato ricorso al Tar Lazio dalle seguenti associazioni:

  • A.D.E.P.P. – associazione degli enti previdenziali privati (di cui fa parte INARCASSA)
  • E.P.A.P. – ente di previdenza e assistenza pluricategoriale
  • C.N.P.R. – cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali
  • E.P.P.I. – ente di previdenza dei periti industriali

Il Tar Lazio (Sezione Terza) con sentenza n. 966/2016,  rileva che la controversia ruota intorno alla interpretazione della “clausola di invarianza” finanziaria, introdotta nell’ambito delle modifiche operate l. n. 133/2011 alla l. n. 103/1996.

Nell’accogliere il ricorso presentato dalle associazioni chiarisce che:

“si verrebbe a determinare un’ingiustificabile ed insanabile disparità di trattamento che finirebbe per rendere, peraltro, recessiva la finalità normativa, ossia di garantire al libero professionista giovane che accede al sistema contributivo al termine dello svolgimento della propria attività professionale un trattamento pensionistico adeguato. E, infatti, il giovane professionista che svolgesse la propria attività professionale in favore di pubbliche amministrazioni godrebbe di un incremento del proprio montante individuale nella predetta parte dimezzato rispetto a quello del collega il quale, invece, svolgesse la propria attività esclusivamente in favore di soggetti privati, pur trattandosi delle medesime prestazioni professionali e consistendo la differenza esclusivamente nella caratterizzazione pubblica o privata delcommittente della prestazione professionale”.

Il Consiglio di Stato respinge il ricorso presentato successivamente dai ministeri, concordando così con il Tar, stabilendo definitivamente che non vi può essere una discriminazione, ai fini previdenziali,  tra il professionista che lavori per la pubblica amministrazione e quello che lavori per una committenza privata.

 

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